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Il blocco della rivalutazione anti-inflazione delle pensioni finisce davanti alla Consulta per un’eccezione di costituzionalità. A sollevarla è stata la Corte dei conti della Toscana in composizione monocratica (ordinanza 33 – 63059 dello scorso 6 settembre). A far partire l’iter, il ricorso contro l’Inps di Marco Panti, ex dirigente scolastico fiorentine, in rappresentanza di altri colleghi come lui oggi in pensione.

Panti ha presentato ricorso al fine di ottenere la perequazione integrale del trattamento pensionistico negli anni 2022, 2023, 2024, “previa remissione degli atti del giudizio alla Corte costituzionale”, sostenendo che l’articolo 1, comma 235, della legge di ‘Bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2023 e bilancio pluriennale per il triennio 2023-2025’, violerebbe gli articoli 3, 23, 36 e 38 della Carta.

Essendo titolare di un trattamento pensionistico “pari a 5.708,11 lordi mensili, quindi superiore a dieci volte il minimo Inps”, si spiega, l’ex dirigente scolastico ha subito “gli effetti negativi dei limiti alla perequazione automatica previsti dalla legge di bilancio 2023”, “con una irragionevole e definitiva penalizzazione anche per l’effetto cumulato delle analoghe disposizioni precedenti”. 

Lettura diversa quella dell’Inps che aveva chiesto di respingere il ricorso definendolo infondato per la questione di illegittimità costituzionale, parlando di “erroneo richiamo all’articolo 1 della legge 197/2022, in quanto norma del tutto incoerente al tema della rivalutazione delle pensioni”.

Nell’ordinanza, quasi cinquanta pagine, della Corte dei conti si legge invece che “la penalizzazione dei titolari di trattamenti pensionistici più elevati lede non solo l’aspettativa economica ma anche la stessa dignità del lavoratore in quiescenza”. In sostanza, continua il documento, “in tale prospettiva la pensione più alta alla media non risulta considerata dal legislatore come il meritato riconoscimento per il maggiore impegno e capacità dimostrati durante la vita economicamente attiva, ma alla stregua di un mero privilegio, sacrificabile anche in un’asserita ottica dell’equità intergenerazionale”.

Da qui il richiamo ai principi costituzionali:  “La particolare dignità dell’attività lavorativa come contributo al progresso della società implica la necessità di valorizzare i principi della proporzionalità della retribuzione ‘alla quantità e qualità del suo lavoro’ (articolo 36 della Carta) e la funzione propriamente previdenziale dei trattamenti pensionistici (articolo), rendendo necessario mantenere la proporzionalità anche nei confronti dei lavoratori in quiescenza, non solo per assicurare al soggetto un trattamento economico commisurato all’attività lavorativa svolta ma per tutelare la stessa dignità del lavoratore che non può essere sminuita nel periodo successivo al collocamento in pensione”.

In attesa del pronunciamento della Consulta, l’ex dirigente scolastico si mostra soddisfatto. Secondo Panti, l’ordinanza “opera un passo molto importante per far emergere una questione vitale da tempo sepolta nel fango della demagogia e del populismo. Adesso la  questione della ingiustizia e potenziale illegittimità del blocco della rivalutazione pensionistica nei confronti dell’inflazione emerge finalmente alla luce del sole ed è ampiamente e legalmente motivata dalle approfondite argomentazioni della Corte dei conti della Toscana.  In attesa della decisione della Corte costituzionale è allora necessario che gli organi e le autorità interessati smettano di fare finta di non accorgersi della evidente violazione dei diritti dei cittadini italiani adesso in quiescenza, facendo interrompere gli abusi che danneggiano la loro vita presente e futura”.

 

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