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Un uomo davanti a uno sportello bancario: ottenere credito è diventato più difficile – Ansa

Il primo taglio dei tassi della Banca centrale europea, arrivato a metà giugno, non deve illudere: restiamo in una situazione di severa stretta monetaria. Le politiche della Bce per contrastare l’inflazione, che è scesa al 2,6%, continuano a indebolire la domanda di credito di imprese e famiglie, e quindi spingono a ridurre gli investimenti e, in definitiva, fiaccano la crescita economica. Non è niente di sorprendente: la stretta monetaria serve proprio a raffreddare l’economia per evitare nuove fiammate dei prezzi. Gli effetti della stretta si continuano a sentire, dicono i numeri di “Banche e moneta”, il report mensile della Banca d’Italia sui conti degli istituti di credito. Negli ultimi dodici mesi i prestiti al settore privato sono diminuiti dell’1,6% e, più nel dettaglio, il credito alle famiglie è calato dello 0,9% mentre quello alle imprese è sceso del 3,4%. I tassi di interesse stanno diminuendo, ma restano alt. Il Taeg medio sui nuovi mutui, cioè l’indicatore che tiene conto di tutti i costi legati al finanziamento, è passato dal 4,04% di maggio al 4,02% di giugno. Quasi fermo, insomma, ma questo perché i primi tagli veri sul costo dei mutui erano arrivati all’inizio dell’anno, anticipando un po’ le mosse della Bce: a dicembre Taeg medio era ancora al 4,82%. Anche i tassi dei prestiti alle imprese non finanziarie scendono con queste lentezza: in media sono passati tra maggio e giugno dal 5,38% al 5,26%, calcola la Banca d’Italia. Che le cose stiano migliorando con lentezza lo aveva già anticipato l’indagine sul credito che la Banca d’Italia aveva diffuso a metà luglio.

È un sondaggio tra le principali banche del Paese sulle dinamiche in corso e aiuta a capire la direzione in cui si stanno muovendo. Il quadro non era negativo: « Nel secondo trimestre del 2024 i criteri di offerta sui prestiti alle imprese sono stati lievemente allentati, per la prima volta dal dicembre 2021 – scrive Banca d’Italia –. Vi hanno contribuito la maggiore tolleranza al rischio e i minori costi di provvista. I termini e le condizioni generali su tali finanziamenti sono divenuti leggermente più favorevoli, principalmente attraverso una diminuzione dei tassi di interesse sui prestiti. Le politiche di offerta sui finanziamenti alle famiglie sono state rese moderatamente meno stringenti per i prestiti finalizzati all’acquisto di abitazioni, per effetto della maggiore pressione concorrenziale, e lievemente più rigide per il credito al consumo». La stessa indagine mostra che la domanda di credito da parte delle imprese continua a diminuire (è così da inizio 2023) mentre è iniziata la ripresa della domanda di mutui.

Ma così come la Bce procederà gradualmente al taglio dei tassi, anche sul fronte del credito a famiglie e imprese non possiamo aspettarci brusche inversioni di tendenza. Se sul fronte del credito la situazione è fiacca, nulla o quasi si muove sui conti correnti. Il tasso di remunerazione dei conti resta molto basso: allo 0,38% a giugno per le famiglie e allo 0,99% per le imprese. I tassi medi sono naturalmente più alti sui conti deposito, fatti apposta per remunerare i risparmi: in media sono al 3,47% a giugno, un livello che resta vicino ai massimi degli ultimi anni. Numeri su cui a quanto pare sta ragionando anche il governo. Dopo che sembra essersi spenta l’ipotesi di una nuova tassa sugli extra profitti delle banche ora circola l’idea di spingerle ad aumentare i tassi sui conti correnti così da potere tassare il “capital gain” dei cittadini, cioè il guadagno sulla rendita da capitale. Un’ipotesi ancora molto vaga che sembra comunque difficile da concretizzare: da un lato imporre una remunerazione minima “di Stato” sarebbe difficilmente compatibile con le regole europee, dall’altro una semplice attività di “moral suasion” per convincere le banche a migliorare i tassi difficilmente avrà successo.



 

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