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Il quotidiano on line Italia Informa evidenzia, con i suoi dati del 15 giugno 2024, che solo il 5% degli italiani è contento del proprio lavoro. Il quotidiano fornisce un altro dato interessante: il 56% di coloro che hanno cambiato lavoro per stare meglio, nel giro di un anno si è pentito. Tutto ciò avviene in un contesto in cui l’88% delle società italiane (dato Doxa, anno 2023) trova difficoltà a trovare le figure professionali desiderate.

Quindi, per poter dare una soluzione all’attuale “non incontro” tra la domanda di soddisfazione lavorativa e la corrispondente offerta di lavoro, è prioritario progettare nuovi modelli organizzativi, che rendano le organizzazioni attrattive per il loro “saper vivere bene”. Significa, cioè, promuovere a tutti i livelli una profonda riorganizzazione delle attività produttive.

In altri termini, bisogna avere ben chiari i valori di fondo che, attualmente, governano il taglio dei lavori ripetitivi, privi di componenti creative, eseguibili dalle macchine digitali; vanno, cioè, adottati valori che promuovano lavori di qualità, aperti alla trasformazione digitale e, al tempo stesso, idonei ad apportare benessere al lavoratore.

A questo proposito, se non è ben gestita, la trasformazione digitale può aumentare la disaggregazione sociale nell’ambiente di lavoro. Ciò è, invece, risolvibile mediante solidi modelli di partecipazione dei lavoratori alla vita aziendale. Un’altra politica di sostegno del lavoro ricco di valore sociale è la diffusione del progresso tecnologico, mediante reti territoriali tra i soggetti interessati, sul territorio nazional, perseguendo un efficace coinvolgimento delle imprese, dei centri di ricerca e delle Università. L’obiettivo è lo sviluppo di comunità tecnico-scientifiche al livello della base produttiva.

La risposta al malessere dei lavoratori è ottenibile anche mediante la formazione di una nuova imprenditorialità che sappia superare il fallimento sociale del modello neoliberista, tuttora dominante nel mondo occidentale, modello che ha favorito la crescente disparità economica e sociale dei lavoratori, disuguaglianza che non incrementa l’operatività e la coesione sociale, indispensabili per affrontare con successo la competitività internazionale.

Non solo, ma nella misura in cui si mette al centro del lavoro la difesa e lo sviluppo dell’occupazione, diventano fondamentali le politiche della formazione professionale. Possono essere un’efficace risposta all’indebolimento del mercato occupazionale che, sovente per colpa della cattiva politica, non provoca un ripensamento strutturale delle politiche di intervento, bensì un incremento dei “bonus “assistenziali.

È anche decisamente ingannevole l’errato convincimento che l’intervento delle Istituzioni sul mercato sia fallimentare, perché incapace di condizionare il ciclo economico. Invece, gli eventi negativi del mercato possono essere assorbiti positivamente applicando un modello partecipativo; in tale modo, come già sostenuto, la forza autoprodotta nella comunità produttiva, per effetto dei comportamenti responsabili di tutti gli attori, può ottenere rilevanti miglioramenti nei risultati economici dell’impresa.

In conclusione, il malessere lavorativo può essere ridotto, se non annullato, con l’adozione e la personalizzazione di modelli di organizzazione del lavoro capaci appunto di gratificare, come sottolineato, l’impegno lavorativo. È un processo di gratificazione che si ottiene, innanzi tutto, con un’applicazione della tecnologia digitale coerente alla salvaguardia della persona e non nell’esclusivo interesse del profitto.

 

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