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Ai sensi dell’art. 25 comma 12 del DL 34/2020, per “le controversie relative all’atto di recupero si applicano le disposizioni previste dal decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546”. Tale norma è richiamata dall’art. 1 comma 10 del DL 137/2020.

In ragione di quanto esposto, le liti che dovessero sorgere a seguito del ricorso contro l’atto di recupero del contributo a fondo perduto, ivi compreso il contributo c.d. perequativo, sono devolute alla giurisdizione tributaria.
Varie volte è stato osservato come questa disposizione possa ritenersi contraria alla Costituzione.

La Corte di giustizia tributaria di Genova, prima sezione, ha sollevato la questione di legittimità costituzionale con ordinanza del 3 giugno 2024, con riferimento alle norme esposte. Sia l’art. 25 comma 12 del DL 34/2020 che l’art. 1 comma 10 del DL 137/2020 potrebbero essere costituzionalmente illegittimi nella parte in cui devolvono alla giurisdizione tributaria le controversie relative al contributo a fondo perduto.

Non trattandosi di entrata avente natura tributaria, la devoluzione di tali liti alla giurisdizione fiscale potrebbe indirettamente violare l’art. 102 della Costituzione, che vieta l’istituzione di nuovi giudici speciali.
Per effetto dell’art. 2 comma 1 del DLgs. 546/92, “Appartengono alla giurisdizione tributaria tutte le controversie aventi ad oggetto i tributi di ogni genere e specie comunque denominati”.

Si tratterebbe, come ricavabile dalla pronuncia della Corte Costituzionale 14 maggio 2008 n. 130, di una lesione dell’art. 102 Cost. e del principio dell’esclusività della giurisdizione tributaria alla materia strettamente fiscale.
L’art. 2 del DLgs. 546/92, nella versione anteriore al DLgs. 156/2015, è stato dichiarato incostituzionale nella parte in cui devolve(va) alla giurisdizione tributaria le liti inerenti le sanzioni amministrative comunque irrogate da uffici finanziari, anche laddove conseguissero a violazioni di natura non tributaria.

Il medesimo problema si pone per le liti sul recupero del contributo a fondo perduto indebitamente percepito.
Considerato che è il legislatore stesso ad aver espressamente previsto la giurisdizione tributaria, il rimedio del rinvio alla Corte Costituzionale appare a nostro avviso corretto.

Invece, altre pronunce di merito, per la ragione esposta, hanno disposto la translatio iudicii ex art. 59 della L. 69/2009 a favore del giudice ordinario, ovvero del Tribunale, stante la natura non fiscale del contributo (C.T. Prov. Milano 16 novembre 2021 n. 4296/10/21 e C.G.T. I Belluno 13 dicembre 2022 n. 55/1/22).

Ciò pare scorretto dal punto di vista processuale, per la ragione esposta. La translatio iudicii, a ben vedere, sembra concretizzarsi in una violazione dell’art. 25 comma 12 del DL 34/2020, violazione a cui solo la Corte Costituzionale può porre rimedio, non essendoci nel sistema processuale italiano alcun controllo di costituzionalità c.d. diffuso.

Per le stesse ragioni, poco corretto sembra essere il rinvio pregiudiziale alle Sezioni Unite (C.G.T. I Agrigento 31 marzo 2023 n. 428/5/23) così come un eventuale regolamento di giurisdizione.

La translatio iudicii non pare la soluzione corretta

Ma c’è un altro aspetto da considerare secondo la Corte genovese.
La giurisprudenza, valorizzando l’art. 102 della Costituzione, ha affermato che non rientrano nella giurisdizione tributaria i ricorsi che originano non da atti di recupero del contributo ma dallo scarto telematico delle domande per il suo riconoscimento, dovute principalmente a errori del codice IBAN, del codice fiscale o della partita IVA (Cassazione a Sezioni Unite 13 dicembre 2023 n. 34851).
Nell’ordinanza di rimessione, “evidente risulta l’irrazionalità e la disparità di trattamento di situazioni accomunate da una unica ratio”.

 

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