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Sono le ultime ore di confronti, ragionamenti, valutazioni. E dubbi. Aldo Spinelli, a differenza dei suoi due illustri coimputati Giovanni Toti e Paolo Emilio Signorini, non ha ancora depositato alla cancelleria del Gip la proposta di patteggiamento nell’ambito dell’inchiesta che travolto la Liguria. Il termine per farlo scade alla mezzanotte di oggi e in caso contrario, per lui soltanto si aprirebbero le porte del processo immediato.

È noto che la volontà comune, tanto da parte della Procura, quanto dei legali di scio’ Aldo, sia quella di chiudere. Ma nelle ultime ore, nella testa dell’imprenditore, sono riemersi dubbi e perplessità. Che rendono la giornata di oggi decisamente thrilling.

Appena venerdì, quando erano trapelati gli accordi fra pm e difensori di Toti e Signorini, uno dei tre avvocati di Spinelli, Alessandro Vaccaro, aveva spiegato: «Abbiamo ricevuto una proposta dalla Procura e dobbiamo fare una serie di considerazioni. Decideremo entro domenica». Le sensazioni, in ogni caso, erano più che ottimistiche.

Sul piatto ci sono le accuse di corruzione legate al rinnovo trentennale della concessione di terminal Rinfuse, alla spiaggia e alle costruzioni di Punta dell’Olmo, al tombamento di calata Concenter e all’area del carbonile Enel. Tutte faccende che rientrerebbero in 3 anni di pena e poco più.

Ma scio’ Aldo (oltre a Vaccaro, difeso da Andrea Vernazza e Francesca Pastore) vuole anche evitare futuri guai su altre faccende decisamente spinose. Da un lato il rischio che i pm Federico Manotti e Luca Monteverde decidano di contestare le violazioni della legge 231 sulla responsabilità amministrativa delle aziende di famiglia; dall’altro il destino giudiziario del figlio Roberto, il quale oggi resta indagato nel filone di inchiesta che sta seguendo il suo iter ordinario e conta una trentina di indagati.

Per quanto riguarda il primo aspetto, a pesare non poco ci sono alcune testimonianze. A partire da quella di Ivana Semeraro, manager del Fondo Icon, che nel 2021 era socio di Aldo nella Spinelli Srl. Fu lei, in una telefonata intercettata, a dire all’imprenditore genovese che i 40 mila euro di finanziamento che voleva dare a Toti attraverso la società «possono essere visti come corruzione», negandogli quindi il consenso.

Parte di quella cifra Spinelli l’avrebbe fatta comunque versare senza avere le autorizzazioni del Cda previste dalla 231. Nell’interrogatorio, Semeraro ha spiegato che nel 2018 Icon aveva autorizzato «eccezionalmente» un finanziamento a Forza Italia «ma negli anni successivi chiedemmo l’inserimento del modello 231… che prevedeva il divieto di erogazioni salvo approvazione degli organi preposti».

Per quanto riguarda Roberto Spinelli, invece, i difensori puntano sull’interrogatorio dello stesso imprenditore, che ha cercato di smarcarsi dal comportamento di scio’ Aldo: «Mio padre ormai non mi diceva più dei finanziamenti perché io gli avevo detto “io non ne voglio più sapere”… perché io non volevo finire sui giornali e finire in un’aula di tribunale. Ogni volta che c’era un articolo di giornale, se voi li andate a riprendere, penso che questo comitato Change (uno dei due creati da Toti, ora chiuso, ndr) sia stato finanziato da mezza Liguria, da tutta Genova. Se voi andate a vedere le uniche persone che uscivano eravamo noi e quindi gli ho detto “guarda, io non voglio più sapere di finanziamenti soci” e quindi mi dribblava. Lo sapevo poi a posteriori dall’amministratore finanziario quando poi venivano fatti».

Stamattina i legali di Spinelli, in ogni caso, torneranno in Procura per l’ultima trattativa. Se tutto filerà liscio, il passo successivo sarà depositare la propria richiesta di patteggiamento al Gip. Altrimenti, se preverranno i dubbi dell’imprenditore, nuovo colpo di scena. E via al processo.

 

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