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L’eredità ancora da smaltire dei bonus edilizi incagliati per le continue modifiche normative da parte del Governo. La mancata proroga – almeno finora – degli aiuti per il caro materiali. I costi energetici, che per le imprese italiane sono stabilmente sopra la media europea. Ma soprattutto i ritardi che si accavallano nei pagamenti da parte della pubblica amministrazione, in particolare per i progetti finanziati con il Pnrr. Nonostante i numeri ancora confortanti nei primi mesi dell’anno, e che probabilmente sono lo strascico dell’anno prima, non solo il 2024 rischia di chiudersi male per il settore dell’edilizia dopo “l’età dell’oro” del Superbonus, dei cantieri ovunque e del boom del settore, ma prelude anche a un 2025 ancora più fosco. Quello che le imprese del comparto temono sia l’anno del tracollo. 

Parlando con la Stampa, la presidente dell’Ance Federica Brancaccio ha lanciato l’ennesimo allarme al Governo, dopo i tanti già caduti nel vuoto: “Così non ce la facciamo, i pagamenti dei Comuni per le opere legate al Pnrr procedono a rilento e in alcuni casi sono proprio bloccati. Il ministro Giorgetti ha ammesso che la spesa del Piano di ripresa e resilienza procede a rilento, le stazioni appaltanti lamentano che i fondi non arrivano. E le imprese edili? Bloccate nel mezzo, ostaggio di una situazione che si complica di giorno in giorno”, spiega nell’intervista a La Stampa. Brancaccio si augura che queste dilazioni siano dovute “a difficoltà burocratiche, e non a un problema ben più grave, come la mancanza di copertura finanziaria”.

I segnali che preannunciano una caduta del settore ci sono, ha rilevato l’associazione dei costruttori che aderisce a Confindustria. Le ore di lavoro degli impiegati del settore sono in calo, secondo le rilevazioni, anche se l’occupazione al momento sembra tenere. In calo è anche il credito erogato alle imprese dalle banche, andando così a erodere la liquidità già fiaccata dai ritardi dei pagamenti della pubblica amministrazione, in particolare da parte degli enti locali, e dagli accantonamenti che pure vanno fatti per il pagamento delle bollette e non solo, visto che allo stato attuale il sostegno per il caro materiali previsto dal Decreto Aiuti è in scadenza a dicembre e non è ancora stato prorogato per il 2025. Un insieme di fattori negativi che ha portato l’Ufficio Studi dell’Ance a stimare una decelerazione del 7,4% per l’edilizia, dovuta alla stretta del Superbonus – che ha bloccato cantieri dal valore approssimativo di sette miliardi – e ai colli di bottiglia del Pnrr. Nel complesso, significa circa 10 miliardi in meno di investimenti.

Un bel colpo a un settore che negli anni post-Covid ha consentito all’economia italiana di reggere il colpo meglio rispetto alle altre grandi economie dell’Unione Europea. Secondo i rilevi del Cresme, centro di ricerca e studi di mercato nel settore delle costruzioni, se si sommano il valore aggiunto dato dagli investimenti edili, i lavori di manutenzione ordinaria e il VA immobiliare degli edifici interessati da riqualificazione si raggiunge il valore di 494,8 miliardi di euro, il 25,4% del Pil del Paese.  Un quarto dell’economia italiana dipende dal mondo delle costruzioni. Insomma, numeri rilevanti che impongono un’attenzione particolare del Governo all’evoluzione del mercato. Nel suo 36° rapporto congiunturale diffuso a giugno, il Cresme ha stimato per quest’anno un calo degli investimenti in costruzione del 9,5% rispetto al 2023, trainato dal crollo della riqualificazione delle abitazioni domestiche che segnano un -26,5%.

In teoria, l’afflusso dei fondi europei avrebbe dovuto in larga parte sostituire il sostegno dato al settore con il Superbonus. Ma l’orientamento del Governo si è scontrato con la farraginosità delle procedure burocratiche che si attivano in quel complesso giro di soldi, che partono da Bruxelles, arrivano a Roma e da lì dovrebbero poi essere smistati nei territori. Ma la catena, non si sa dove, da qualche parte pare spezzarsi: i cantieri spesso non vedono arrivare le risorse, e le stazioni appaltanti – che spesso sono gli enti locali – o non sono in grado di anticipare le somme oppure, peggio, se lo fanno rischiano di andare incontro a una crisi di liquidità. Il Comune di Modena, per esempio, ha già pagato 22 milioni e 582 mila euro per le opere Pnrr che si è aggiudicato, ma dallo Stato ha incassato solo 15 milioni e mezzo. Non a caso in Parlamento continuano a fioccare interrogazioni delle opposizioni al ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti e al ministro per gli Affari Europei Raffaele Fitto sui ritardi nell’attuazione dei progetti. 

Il 31 luglio anche l’Associazione dei Comuni (Anci) ha inviato una lettera ai due esponenti del Governo Meloni in cui ha rilevato come molte giunte comunali abbiano aperto i cantieri nei tempi previsti, anche a costo di anticipare le somme necessarie per saldare i vari Sal (avanzamento lavori) alle imprese, senza tuttavia ricevere rimborsi. I numeri lo confermano: gli investimenti fissi lordi nei primi sei mesi dell’anno hanno raggiunto il 34% in più rispetto allo stesso semestre di un anno prima. A dispetto dell’impegno delle amministrazioni cittadine, “i nostri uffici continuano a ricevere” da parte dei Comuni, “segnalazioni di ritardi o dinieghi nell’erogazione degli acconti al 30%”, significativi ritardi nel controllo e pagamento di rendiconti caricati e, a volte, addirittura il mancato pagamento di quelli già validati”, “la mancanza di omogeneità nelle attività di controllo che rende aleatorio il buon esito delle erogazione delle risorse” e incertezza diffusa, in particolare sulla documentazione da produrre, caratterizzata da un eccessivo formalismo.

Secondo un rapporto del Forum Ambrosetti che sarà presentato a Cernobbio e anticipato da La Stampa, quest’anno sui circa 43 miliardi del Pnrr programmati, a metà luglio ne sono stati spesi solo poco più di nove. Di questo passo, a fine anno ne saranno erogati poco più di 18. Se la lentezza nella spesa delle risorse già ora desta più di qualche ansia nel settore, c’è da preoccuparsi ancora di più in vista del prossimo anno. Cioè quando secondo il cronoprogramma del Pnrr dovranno essere spesi ben 56 miliardi. Urge un cambio di passo.

 

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