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ROMA Bruxelles-Roma, andata e ritorno. Ormai tra Raffaele Fitto e la Commissione europea non resta che l’ultimo scoglio, l’audizione al Parlamento Ue che il ministro in procinto di (ri)trasferirsi a Bruxelles dovrà affrontare a ottobre. Ma per lui che ha passato metà estate a «studiare», confidano i compagni di partito, dai dossier caldi all’inglese tecnico, quell’esame che due decenni fa sbarrò la strada per l’Europa a Rocco Buttiglione «non sarà certo un problema».

È ufficialmente in corsa, l’enfant prodige di Maglie, il paese natale di Aldo Moro. A 55 anni, Fitto è già stato eurodeputato (due volte), presidente della Regione Puglia appena 31enne, ministro con Berlusconi e poi di nuovo con Meloni, che si è affidata all’ex democristiano per portare a casa tutti i 200 e passa miliardi del Pnrr. Fin qui ci è riuscito senza grosse sbavature. In silenzio (mai un’intervista in due anni di governo), testa bassa e lavorare.

IL PORTAFOGLI

Una casella che, quando sarà lasciata vuota a novembre, non sarà affatto facile da riempire, per la premier. Che infatti dando l’annuncio in consiglio dei ministri l’ha definita «una scelta dolorosa per me e per il governo» e «credo anche per lui», dal momento che si tratta di rinunciare a una pedina chiave del suo scacchiere. Ma è anche «una scelta necessaria», secondo Meloni. Che per Fitto ha messo nel mirino le deleghe su Bilancio, Coesione e Pnrr, un portafogli che nel prossimo esecutivo di von der Leyen varrà più di mille miliardi di euro. E che però non basta, alla premier, che punta a strappare per il suo ministro una vicepresidenza esecutiva della Commissione. Ossia la possibilità di sovrintendere il lavoro di altri 3-4 commissari. «E nonostante veda molti italiani che tifano contro un ruolo adeguato alla nostra Nazione – punge la leader di FdI di fronte ai suoi ministri – non ho motivo di credere che quel ruolo non verrà riconosciuto». E non, precisa Meloni, «per simpatia o antipatia verso il nostro governo, ma perché siamo l’Italia, nazione fondatrice, seconda manifattura e terza economia europea».

Scelta difficile, dunque, «delicata e molto importante», per un incarico «estremamente complesso» ma «entusiasmante». Un compito affidato a chi, scandisce la premier prima di chiedere «un applauso» per il suo ministro, «ha saputo governare le deleghe che gli sono state affidate in questo governo con ottimi risultati». Deleghe che resteranno Palazzo Chigi: nessun rimpasto imminente, i corposi dossier sul tavolo di Fitto (Affari Ue, Coesione, Sud e Pnrr) saranno “spacchettati” tra i collaboratori più fidati, come Alfredo Mantovano, con al massimo l’indicazione di un nuovo sottosegretario (sempre in quota FdI).

Non che sul nome da indicare ci fossero mai stati grossi dubbi da parte della leader dell’esecutivo. Ma prima di mettere nero su bianco l’indicazione di Fitto nella lettera a von der Leyen Meloni ha voluto aspettare una rassicurazione sul ruolo che il ministro degli Affari europei sarebbe andato a ricoprire a Bruxelles, proprio per non scoprire una casella chiave. Ed è su questo punto che si concentrano le opposizioni. «Aspettiamo di sapere quale sarà il portafoglio che gli sarà assegnato come candidato Commissario per fare ulteriori valutazioni», commenta dal Pd Elly Schlein: «Il governo chiarisca subito come intende proseguire il lavoro su dossier cruciali che Fitto gestisce come l’attuazione del Pnrr e la programmazione dei fondi di coesione, che non possono subire ulteriori rallentamenti».

Conciso come nel suo stile, invece, il commento del diretto interessato: «Nei prossimi cinque anni la Commissione avrà un ruolo fondamentale per il rafforzamento dell’Ue» e per «favorire la soluzione delle maggiori crisi internazionali», afferma Fitto. «Sono pronto a dare il mio contributo per raggiungere questi obiettivi».

IL PROFILO

Figlio d’arte, il ministro. Il padre Salvatore fu presidente democristiano della Puglia dall’85 all’88, quando a soli 47 anni morì in un incidente stradale. Il figlio Raffaele all’epoca di anni ne aveva 19. Ed è in quel momento che comincia a seguire le orme del padre. Prima nella Dc, con cui a 21 anni è consigliere regionale. Poi aderisce al Ppi di Buttiglione, lo stesso del quale ora sarà chiamato a non ripercorrere le orme. Fino all’ingresso in Forza Italia e poi, dopo l’allontanamento da Berlusconi, l’approdo in FdI, con cui nel 2019 torna all’Europarlamento. Poi un altro ritorno, a Roma, con l’ardua missione di “salvare” il Pnrr. Che ora, confidano a Palazzo Chigi, è sui giusti binari. Dell’enfant prodige di Maglie, insomma, per l’Italia c’è più bisogno a Bruxelles.

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