Prima la sconfessione, da parte di Donald Trump, di Project 2025, il programma di governo e di riforma dell’amministrazione in chiave autoritaria redatto dal think tank della destra radicale trumpiana Heritage Foundation col contributo diretto di molti collaboratori dell’ex presidente. Poi l’apertura all’ala ultraliberista e libertaria della Silicon Valley, da Peter Thiel di Palantir al venture capitalist Marc Andreesen, passando per l’invito a Elon Musk a entrare nel suo governo (se sarà eletto).
Ora l’apertura di un’altra porta per attrarre frange di democratici delusi: due ex progressisti, Robert Kennedy Jr. che si è appena schierato con Trump rinunciando a candidarsi da indipendente e Tulsi Gabbard, ex deputata democratica, fan di Bernie Sanders e poi candidata alla Casa Bianca, nominati da Donald copresidenti onorari del suo team per la transizione presidenziale: la squadra che preparerà il nuovo governo in caso di vittoria del leader repubblicano alle presidenziali del 5 novembre.
Il leader conservatore continua a usare un linguaggio pesantissimo contro Kamala Harris e il suo vice, Tim Walz, respinge i consigli di chi lo invita a fare campagna con le battaglie politiche anziché con gli attacchi personali e continua a dirsi convinto che vincerà le elezioni con una maggioranza schiacciante a meno che i democratici non trucchino il voto. Ma in realtà la sua campagna sta cambiando rotta: consapevoli che col ritiro di Biden la riconquista di alcuni Stati strategici come Pennsylvania, Michigan e Arizona non è più sicura, gli strateghi di Trump cercano nuovi bacini di voti tra i fuoriusciti del fronte progressista. RFK e la Gabbard salgono sul carro di The Donald nonostante le enormi differenze politiche su temi cruciali — dall’ambiente all’aborto, alle tasse — sulla base di una narrativa politica centrata su una «crociata anticensura»: tutto, dai tentativi di contrastare la diffusione di falsità sui vaccini alle pressioni sui giganti digitali affinché filtrino i contenuti immessi nelle loro reti per bloccare disinformazione, deep fake e interferenze politiche straniere, viene presentato come censura di una sinistra illiberale che va scardinata.
Operazione audace col rischio di effetti boomerang: per molti conservatori la copresidenza di due ex democratici è una bestemmia. Dalla campagna di Trump minimizzano: solo cariche onorarie e un po’ di flessibilità ideologica. Poca: se Project 2025 è stato accantonato (per ora) per l’eccessivo protagonismo dei capi della Heritage, un altro centro, l’America First Policy Institute, ha redatto in modo più discreto un altro programma di rivoluzione amministrativa altrettanto radicale.
29 agosto 2024
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