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La richiesta del governo per ottenere il via libera da Bruxelles è partita nei giorni scorsi. Ma già a inizio agosto la prima linea del ministero del Lavoro – in una riunione tecnica sulla futura manovra – ha annunciato ai colleghi del Mef il loro progetto: utilizzare i fondi della coesione per ampliare la riduzione del cuneo fiscale. Con l’obiettivo di trovare per il 2025 maggiori risorse – si punta a due miliardi in più – rispetto ai quasi 11 miliardi già impegnati quest’anno. Obiettivo è arrivare quindi oltre i 13 miliardi.

Il taglio al costo del lavoro è uno dei capisaldi della prossima finanziaria, che a ottobre arriverà in Parlamento. La titolare del dicastero di via Veneto, Marina Calderone, è sicura che sarà confermato. «Per quanto mi riguarda – ha spiegato dal palco del Meeting di Rimini – certamente guardo al mantenimento della riduzione del cuneo fiscale contributivo che credo sia un impegno importante».

La base di partenza, quindi, è sicuramente lo schema introdotto nella legge di bilancio per il 2024: investimento complessivo da 10,7 miliardi di euro, con un taglio al cuneo fiscale, più precisamente alle trattenute per la contribuzione obbligatoria, del 7 per cento per i redditi dei dipendenti fino a 25mila euro e del 6 per cento per chi dichiara al fisco non più di 35mila euro all’anno. Un’operazione che quest’anno ha riguardato una platea di circa 14 milioni di lavoratori dipendenti del pubblico e del privato. I quali si sono ritrovati in busta paga mensilmente tra i 60 e 100 euro in più. Ma come detto, il governo vorrebbe alzare l’asticella.

GLI OBIETTIVI

L’opzione è molto ambiziosa. E non soltanto perché la futura manovra – che al momento dovrebbe oscillare intorno ai 25 miliardi di euro – sconta la pesante eredità sui conti pubblici del Superbonus edilizio o le nuove e più stringenti regole di politica fiscale europee. Circa 18 miliardi di risorse, poi, sono state già “prenotate” per confermare le principali misure della scorsa finanziaria, tra le quali – oltre al taglio del cuneo – ci sono i quasi due miliardi per la Zes unica per il Mezzogiorno, il miliardo per le missioni internazionali o gli 860 milioni per la detassazione dei premi, il bonus mamma, gli sgravi per le assunzioni al Sud o quelle rosa.

In attesa di capire se ci sono margini di manovra, all’interno dei partiti della maggioranza c’è la volontà di rilanciare sul cuneo e di aumentare i salari reali. Intanto perché ci sono da fronteggiare le ultime code della maxi inflazione del biennio scorso e si rivuole riattivare la dinamica dei consumi. Che è ancora bassa come dimostra la spesa delle famiglie: in aumento nel primo trimestre dell’anno dello 0,3 per cento, ma in calo dell’1,4 in tutto il 2023. Poi, nella sua piattaforma, il centrodestra vuole migliorare le condizioni di quello che un tempo era il ceto medio. E in questa direzione rientrano sia i tentativi per abbassare le aliquote Irpef per i redditi tra i 35 mila e i 50-55 mila euro (finanziato già in parte dall’abolizione dell’Ace o dall’introduzione della Global minimum tax oppure con gli incassi del concordato preventivo) sia quelli per superare lo scalino sulla decontribuzione per chi guadagna un euro in più sopra i 35 mila euro e non può avvantaggiarsi degli effetti della riduzione del cuneo. Perdendo in busta paga oltre un migliaio di euro all’anno.

In quest’ottica si sono messi al lavoro i tecnici del ministero del Lavoro. Che starebbero studiando varie ipotesi: per esempio un ritocco di un punto percentuale sul taglio al costo lavoro, il mantenimento delle stesse aliquote ma da applicare a un monte reddito più alto delle due fasce d’imponibile annuo attuali, cioè quelle dei 25mila e dei 35mila euro. Allargamenti dell’attuale misura che però necessitano di risorse: secondo stime prudenziali tra un miliardo e i due in più. E qui entrano in gioco i fondi per la coesione.

IL MONTE

Per il settennato 2021-2027 l’Unione europea per la sua parte e l’Italia per quella di cofinanziamento hanno messo in campo per la programmazione 142,6 miliardi. Di questi 102,4 miliardi sono destinati al Mezzogiorno e i restanti 38,5 miliardi di euro al Centro Nord. Tutti i soldi destinati per lo sviluppo delle infrastrutture e per “correggere” gli squilibri economici tra i vari territori della Ue. Ma tra le missioni di questi pacchetti, per il Fesr, c’è anche quella di spingere «gli investimenti a favore della crescita e dell’occupazione – finalizzati a rafforzare il mercato del lavoro e le economie regionali».

Viste le regole d’ingaggio della coesione – e per non incorrere in una procedura d’infrazione comunitaria per aiuti di Stato – si lavora su un crinale molto sottile. E per questo è stata avviata un’interlocuzione con la Ue su uso più estensivo di questi fondi, con Bruxelles che però non avrebbe dato ancora una risposta anche perché impegnata nel varo della nuova Commissione. Però, a favore dei tentativi italiani, ci sarebbe un precedente nell’ultimo decreto Coesione: qui il grosso degli incentivi e degli sgravi legati alle nuove assunzioni è stato finanziato con queste risorse. Va da sé che in questo caso la norma attuale sul cuneo non riguarderà soltanto il taglio delle trattenute in busta paga Fap (Fondo per l’autonomia possibile e per l’assistenza a lungo termine) o Ivs (Invalidità, vecchiaia e superstiti), ma potrebbe essere legata a strumenti di politiche attive come la formazione del lavoratore. E il condizionale, fino al giudizio dell’Unione, è quanto mai d’obbligo.

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