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«Stiamo vivendo una delle stagioni più calde e secche degli ultimi decenni; gli effetti di questo fenomeno sono palesi ed evidenti, non occorre nemmeno scomodare studiosi del clima che espongano scientificamente il quadro che, tuttavia, non è omogeno e presenta criticità specifiche nelle aree interne dell’alto beneventano e dell’alta Irpinia.

Questa estate, nei territori della Val Fortore, ad oltre 800 m.s.l., saranno superati i 50 giorni critici per eccesso di temperatura. Empiricamente – scrive Carlo Coduti, responsabile Agricoltura PD Sannio – si tratta di giornate dove la temperatura massima diurna supera i 30° C; da una verifica dei dati storici, in queste zone, la norma delle giornate con eccesso di temperatura è di 30/35.

Se alle elevate temperature si associano le scarse precipitazioni o la concentrazione delle piogge solo in alcuni periodi, le conseguenze possono essere disastrose. In verità, sulle precipitazioni è il caso di chiarire qualche dato. Dall’analisi delle serie storiche, si osserva la estrema variabilità delle precipitazioni sul territorio della Regione Campania dove, per esempio, si registrano circa 2.000 mm di pioggia annua sui monti del Matese e sugli Alburni, mentre sui territori dell’alto beneventano (Fortore) e dell’alta Irpinia, la media annua scende a circa 800 mm. In questi ultimi areali – zone interne per antonomasia – se si verifica una distribuzione delle piogge in modo regolare, con una presenza di fenomeni piovosi “normale” nei periodi critici (luglio, agosto e settembre), pari a circa 100 mm di pioggia, il sistema idrico regge, nel senso che le sorgenti locali, le riserve etc. non subiscono cali pericolosi. Diversamente, laddove le piogge, come accaduto quest’anno, sono quasi assenti nel precitato periodo critico, il sistema idrico locale va in crisi.

Le conseguenze di questa prolungata assenza di piovosità – prosegue Coduti – hanno un immediato impatto sulla zootecnia perché, come è noto, l’approvvigionamento è quasi completamente demandato a sorgenti, pozzi e riserve aziendali che bypassano quasi del tutto la rete pubblica, anche perché, come le cronache di questi giorni ci raccontano, è già oltremodo in crisi rispetto al soddisfacimento dei soli fabbisogni umani. In ogni caso, per gli allevamenti sorgono problemi serissimi che gli allevatori tentano di risolvere “alla meno peggio” caricando e traportando acqua da ogni dove in quanto imperativamente sospinti dai bisogni vitali degli animali. Lontano dai riflettori dei dibattito pubblico, il fenomeno ancora non appare nella sua grave drammaticità.

Ciononostante, non possiamo fare a meno di osservare – amministratori in primis – che, in queste condizioni, il sistema può andare irrimediabilmente in crisi: bastano pochi anni di una riduzione della piovosità annua di qualche centinaia di mm e l’assenza di piogge nel periodo critico.

Pertanto, prima di arrivare, anche nelle nostre zone, alle angosciose immagini delle capre siciliane (foto allegata) che tentavano invano di bere intorno ad un laghetto secco cui era rimasta una pozza di fango, è il caso di prendere provvedimenti fattivi e concreti. In questo caso, non occorrono grandi e costose infrastrutture, basterebbe attivare semplici programmi di finanziamento per consentire agli allevatori di immagazzinare la necessaria risorsa idrica nei periodi di eccesso di disponibilità, incentivando la realizzazione di laghetti, riserve e pozzi aziendali con la logica delle procedure emergenziali», conclude Coduti.



 

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