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  «Benvenute e benvenuti in Sardegna, la terra dal paesaggio elettrico». Rischia di essere
questo lo slogan col quale accoglieremo i gruppi nelle prossime stagioni turistiche, almeno
fino a quando esisteranno prossime stagioni, dato che con l’andare del tempo nessuno
spenderà più i propri risparmi per vacanze senza paesaggio.
Siamo guide e aziende turistiche del settore naturalistico e sportivo, alcune giovani e altre
meno, spaventate dalle politiche che stanno trasformando il paesaggio della Sardegna e
che causeranno la crisi del settore. Il nostro lavoro e guadagno dipende da una particolare
categoria turistica, dalle persone interessate alla Sardegna per la bellezza della sua

natura. Per così dire, noleggiamo paesaggi, con una ricaduta economica positiva sul
territorio, dato che sul territorio mangiamo, dormiamo, visitiamo monumenti e musei, ci
spostiamo con i vettori locali. 

  Fra noi c’è chi ha iniziato nei primi anni Duemila, lavorando più di vent’anni per fare della
Sardegna una destinazione del turismo naturalistico di rilievo europeo, con promozione
territoriale, collaborazione con Enti locali, lavoro in rete, investimenti in beni strumentali,
destagionalizzazione… Tutto potrebbe finire, perché nessuno ama camminare o pedalare
in mezzo alle pale eoliche, fare yoga tra i pannelli fotovoltaici o scattare foto su un
orizzonte trafitto da una selva di enormi pali, visibili per chilometri.
La maggior parte di noi non ha mai preso un euro di contributo pubblico, abbiamo costruito
una nuova economia in Sardegna soltanto con le nostre forze e i nostri risparmi, perché la
Regione, pur con tutte le sue contraddizioni, sembrava marciare nella stessa direzione:
Rete Cicloturistica della Sardegna, nuovi parchi come quelli di Gùturu Mannu e di Tepilora,
Rete Escursionistica della Sardegna, bandi per la realizzazione di ippovie, Borsa
internazionale del turismo attivo, convegni, corsi di formazione professionale per guide
escursionistiche e cicloturistiche…

Vent’anni di lavoro che vogliono farci buttare nella spazzatura, per trasformare la
Sardegna in una grande centrale elettrica al servizio di altre regioni, senza neanche
prendersi il disturbo di offrirci posti di lavoro di operai e operaie, come almeno si
degnavano di fare in passato nel settore minerario, petrolchimico e turistico. Anziché
andare avanti vogliono farci tornare indietro, all’Ottocento, con la distruzione del territorio
senza alcuna contropartita: a loro il nostro legname per farsi le loro ferrovie, a noi il nostro
territorio desertificato dalle loro imprese.

Certamente bisogna fare la transizione energetica, ma questa è soltanto una parte della
più vasta transizione ecologica, che per noi è pane quotidiano, dato che per esempio la
mobilità sostenibile, in bicicletta e a piedi, è il nostro stesso lavoro. 

  Transizione ecologica
significa anche e soprattutto sostenibilità sociale, a cominciare dalle direttive europee per il
coinvolgimento delle comunità nei processi decisionali e per i principi di prossimità e
proporzionalità: l’energia si produce dove serve e se ne produce la quantità che serve. Del
resto non si spiegherebbero i provvedimenti europei a sostegno dell’agricoltura e degli
habitat naturali della Sardegna, se poi si volesse convertire tutto alla monocultura elettrica

destinata all’esportazione, senza alcun beneficio per la popolazione locale, distrutta nei
suoi legami con il territorio, come nelle peggiori tradizioni coloniali.

Lavoriamo fisicamente nella natura ogni giorno, la conosciamo molto più e molto meglio di
chi si limita a citarla nelle proprie dichiarazioni prodotte col copia e incolla. Della natura
conosciamo la sofferenza e della sua sofferenza patiamo le conseguenze, non soltanto
nelle nostre vite personali ma anche nel nostro lavoro, quindi siamo favorevoli alla
transizione energetica, da sempre, anche quando non andava di moda nei ministeri e negli
assessorati. Per questo sappiamo bene come si fa: con i processi partecipativi e con le reti
di comunità. Occorre finanziare e realizzare prima di tutto le reti di comunità, finché non ne
esisterà almeno una per ogni paese della Sardegna. 

  Dopo, forse, se non bastassero, si
potrà pensare a qualche centrale, ma sempre nel rispetto del processo partecipativo.

In conclusione non prendiamo lezioni di transizione energetica ed ecologica dalla classe
politica. Destra e sinistra hanno dimostrato di non potercene dare, piuttosto dovrebbero
fare il lavoro per il quale sono profumatamente retribuite: comporre i diversi interessi
sociali ed economici, affinché lo sviluppo di uno non vada a scapito di un altro. Nel rispetto
dei principi che la stessa classe politica europea si è data, senza travisarli
nell’applicazione concreta come il ceto politico italiano e sardo sta facendo.
Ancora una volta siamo propositive e propositivi, pronte e pronti a fare la nostra parte: ci
troveranno nelle strade e nelle campagne, per lavorare e per sostenere il nostro popolo
che difende la Sardegna dall’assalto degli speculatori.



 

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