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All’Esmo 2024 studio di fase 3 NIAGARA, ‘durvalumab in combinazione con chemioterapia riduce del 32% il rischio recidiva’

Migliorare la sopravvivenza e ridurre il rischio di recidiva (e di morte) nel carcinoma della vescica muscolo-invasivo. Obiettivi possibili grazie al primo regime immunoterapico perioperatorio con durvalumab. E’ quanto emerge dallo studio di fase 3 NIAGARA presentato oggi durante il simposio presidenziale del Congresso 2024 della European Society for Medical Oncology (Esmo) che riunisce in questi giorni a Barcellona migliaia di oncologi da tutto il mondo, e contemporaneamente pubblicati nel The New England Journal of Medicine.

A un’analisi ad interim predefinita dello studio, i pazienti trattati con il regime perioperatorio ( prima e dopo l’intervento) con durvalumab mostrano una riduzione del 32% del rischio di progressione di malattia, di recidiva, di non completare la chirurgia prevista o di morte rispetto al braccio di confronto. La Efs media stimata non è stata raggiunta nel braccio durvalumab rispetto a 46,1 mesi nel braccio di confronto. Si stima che il 67,8% dei pazienti trattati con il regime durvalumab fosse libero da eventi a due anni, rispetto al 59,8% del braccio di confronto. I risultati dell’endpoint secondario di sopravvivenza mostrano che il regime perioperatorio con durvalumab ha ridotto il rischio di morte del 25% rispetto alla chemioterapia neoadiuvante pre-cistectomia radicale. La sopravvivenza mediana non è stata raggiunta in entrambi i bracci. L’82,2% dei pazienti trattati con il regime durvalumab è vivo a due anni rispetto al 75,2% del braccio di confronto.

“Lo studio NIAGARA dimostra che l’aggiunta dell’immunoterapia con durvalumab, prima e dopo la chirurgia, può rappresentare una strategia innovativa, in grado di cambiare la pratica clinica per i pazienti con tumore uroteliale della vescica infiltrante operabile – afferma Lorenzo Antonuzzo, Direttore della Struttura Complessa di Oncologia Clinica all’Azienda Ospedaliero Universitaria Careggi, Dipartimento di Medicina Sperimentale e Clinica Università di Firenze -. Questo regime immunoterapico permette di migliorare in modo significativo i due endpoint principali dello studio, cioè la sopravvivenza libera da eventi e la sopravvivenza globale. Il dato sulla sopravvivenza globale è particolarmente rilevante in una popolazione di pazienti complessa da trattare, come quella colpita dal tumore uroteliale della vescica infiltrante. Pur trattandosi di una neoplasia localizzata a livello della vescica, è più aggressiva rispetto a quella non infiltrante e può estendersi localmente fino a invadere gli strati muscolari e l’intera parete vescicale”.

Nello studio che ha coinvolto circa 1000 pazienti, “sono stati utilizzati il trattamento neo-adiuvante, cioè perioperatorio, costituito dalla chemioimmunoterapia e durvalumab in monoterapia dopo l’intervento chirurgico – continua Antonuzzo -. Il braccio di confronto è costituito dalla chemioterapia neoadiuvante. NIAGARA è il primo studio registrativo in cui un regime immunoterapico, prima e dopo l’intervento chirurgico, prolunga la sopravvivenza in questa patologia”.

“Il trattamento standard, per circa 20 anni, è stato costituito dalla chemioterapia neoadiuvante seguita dalla chirurgia, ma la metà dei pazienti va incontro a recidiva o progressione di malattia, per cui resta un bisogno clinico ancora insoddisfatto – sottolinea Massimo Di Maio, presidente eletto Aiom (Associazione italiana di oncologia medica) -. Inoltre, in Italia, il trattamento delle forme infiltranti operabili è variegato, perché vi sono pazienti che vengono trattati direttamente con la chirurgia. Gli importanti risultati dello studio NIAGARA possono costituire uno stimolo all’utilizzo della terapia neoadiuvante in tutti i pazienti. Va anche sottolineato che il regime chemioimmunoterapico è ben tollerato e sicuro”.

Nella gestione della malattia “e per garantire il miglior percorso terapeutico, è fondamentale il team multidisciplinare, che deve comprendere, tra gli altri, il radiologo, il chirurgo, l’oncologo, l’urologo e l’anatomo patologo – conclude Di Maio -. Il tumore della vescica è uno dei più frequenti, nel 2023 in Italia sono stati stimati 29.700 nuovi casi. È una neoplasia subdola, perché nelle fasi iniziali può essere del tutto asintomatica. I primi segni d’allarme sono sintomi urinari, ad esempio difficoltà a urinare e minzioni frequenti, e la presenza di ematuria, cioè sangue nelle urine. Il principale fattore di rischio è il fumo di sigaretta, a cui si aggiunge l’esposizione professionale a determinate sostanze cancerogene, come ammine aromatiche e nitrosamine”.

Il carcinoma della vescica è il nono tumore più comune a livello mondiale, con più di 614.000 diagnosi all’anno. Il carcinoma della vescica muscolo invasivo rappresenta circa un quarto dei casi di tumore della vescica. Nel setting con Mibc circa 117.000 pazienti vengono trattati con lo standard di cura. La terapia standard comprende la chemioterapia neoadiuvante e la cistectomia radicale. Tuttavia, anche dopo la cistectomia, i pazienti sono soggetti a tassi elevati di recidiva e ad una prognosi sfavorevole. Circa il 50% dei pazienti sottoposti alla chirurgia per la rimozione della vescica va incontro a recidiva. Sono fortemente necessarie opzioni terapeutiche che prevengano la recidiva dopo la chirurgia.

 

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