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Cresce l’attesa per l’esito della sentenza della corte di Cassazione sulla richiesta di estradizione in Israele dei tre cittadini palestinesi Anan Yaesh, Irar Ali e Doghmosh Mansour.

In concomitanza dell’udienza, all’esterno di piazza Cavour a Roma, un presidio di manifestanti ha richiesto a gran voce la liberazione dei tre ragazzi. Tra questi la moglie di Mansour, che preferisce rimanere anonima, ha sottolineato come «si trovino incarcerati per aver preso una posizione in favore della Palestina». Analoghe dimostrazioni si sono registrate davanti alle prefetture di Firenze, Modena, Como e Milano.

Era il 27 gennaio 2023 quando il governo italiano accoglieva la richiesta di arresto provvisorio, a fini estradizionali, avanzata dal governo israeliano nei confronti di Anan Yaeesh, residente in Abruzzo e accusato di essere un membro attivo della resistenza palestinese. Immediata la risposta della corte d’Appello dell’Aquila, che dispose l’arresto di Yaeesh. La difesa, rappresentata dall’avvocato Flavio Rossi Albertini, facendo leva sul report delle Nazioni Unite e sulla Commissione Territoriale per il Riconoscimento della Protezione Internazionale di Foggia, dimostrò di fatto che l’estradizione del suo assistito avrebbe comportato il rischio di trattamenti inumani e degradanti. Denunciò, inoltre, che «la proroga della custodia cautelare, fosse di fatto funzionale all’estradizione stessa».

Ad un’iniziale accoglimento delle tesi difensive e revoca delle disposizioni di misura cautelare, seguì un iter giudiziario ancora più in salita. Improvvisamente, il gip dell’Aquila dispose una nuova ordinanza di custodia cautelare per Anan e i suoi due coinquilini Irar Ali e Doghmosh Mansour. L’accusa era di «promozione, costituzione, organizzazione o finanziamento di associazioni terroristiche tese all’eversione dell’ordine democratico in uno stato estero».

Piccola nota a margine messa nero su bianco per la richiesta di riesame: «Il diritto internazionale umanitario riconosce alle popolazioni sottoposte all’occupazione, la facoltà, anche con la lotta armata, di resistere ed autodeterminarsi».

Ad essere sottolineata fu anche «l’impossibilità di ricondurre i territori teatro dei fatti alla nozione di stato estero in quanto gli atti di violenza sarebbero commessi in Palestina, territorio che da una parte non è ancora riconosciuto come tale, e dall’altro è in uno stato di occupazione, illegale per lo stesso diritto internazionale» e così la richiesta di riesame venne bocciata.

Secondo l’accusa «la ribellione armata per il diritto all’autodeterminazione avrebbe ecceduto, con la pianificazione di un attentato nei confronti di civili nella Cisgiordania occupata».

Tesi, supposizioni, su cui è impostato un intero processo e che ci portano alla data dell’11 luglio 2024 dopo la richiesta di ricorso per cassazione. Dati i precedenti, dal verdetto ci si può aspettare di tutto.

 

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