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Paolo De Castro

«Ursula Von der Leyen ha lavorato bene. La politica agricola è stata affidata a Christophe Hansen, giovane, brillante economista lussemburghese che da anni è in parlamento europeo ed è esperto del settore, mi auguro possa rappresentare, anche con l’aggiunta della delega all’alimentazione, una voce autorevole a difesa dei redditi degli agricoltori, ciò che nella passata commissione è mancato totalmente».

Paolo De Castro è docente di Politica agraria all’università di Bologna, è stato ministro dell’Agricoltura (governi D’Alema e Prodi), una legislazione da deputato e una da senatore, europarlamentare europeo (Pd) dal 2009 al 2024, presidente della commissione Ue per l’agricoltura dal 2009 al 2014.

Domanda. Il Rapporto Draghi è la medicina giusta per l’Europa?

Risposta. Vi ho trovato spunti interessanti, uno tra tutti: le considerazioni sul debito comune. Non è giusto che i Paesi membri debbano pagare interessi tra loro molto diversi in virtù della stima effettuata dalle agenzie di rating. L’Italia paga interessi sul debito pari alla Francia e alla Germania messe assieme, mentre il debito italiano è inferiore a livello assoluto a quello tedesco. E non aggiungo la questione delle garanzie date dal patrimonio privato degli italiani. Il tasso sui debiti deve diventare uguale per tutti.

D. Che cosa ha funzionato e che cosa no nella passata legislatura europea?

R. Non è stato compiuto un adeguato coordinamento tra le politiche agricole e quelle ambientali. Il commissario polacco all’agricoltura Janusz Wojciechowski non ha impresso una direzione di marcia che tenesse conto delle esigenze del mondo agricolo e agroalimentare, risultando subalterno alla mera dimensione ambientale e relegando di fatto al commissario all’ambiente Frans Timmermans ogni decisione. Questa dinamica ha creato uno scompenso tale da non rendere benefici né al settore agroalimentare né all’ambiente. Non esiste una corretta e proficua transizione ecologica senza un contributo attivo degli agricoltori.

D. Cosa aspettarsi dal nuovo corso dell’agricoltura Ue?

R. Il punto di partenza è trovare una consonanza tra la dimensione economica e quella ambientale. Bisogna prendere come esempio la legge federale americana Inflation Reduction Act, a firma di Joe Biden, che tra le altre cose prevede di accompagnare gli agricoltori nella transizione ecologica e destina 20 miliardi di dollari per l’attuazione di buone pratiche: riduzione dell’utilizzo della chimica, utilizzo di nuove tecnologie, genetica, meccanizzazione. È stato questo approccio che è mancato nella prima commissione Von der Leyen.

D. Qual è la sfida principale che gli agricoltori italiani ed europei dovranno affrontare?

R. La ricerca di una maggiore sostenibilità senza penalizzare la competitività.

D. In che modo rendere le esigenze dell’agricoltura compatibili con la transizione green?

R. Con l’innovazione. L’uso della chimica può essere drasticamente ridotto col ricorso ai droni e all’agricoltura di precisione, poi l’innovazione genetica e le tecniche di evoluzione assistita, quindi senza Ogm, possono rendere le colture resistenti, per esempio la vite rispetto alla peronospera. Non basta definire target, occorrono progetti e risorse.

D. Come conciliare situazioni tanto diverse come quelle dell’Europa del Nord e dell’Europa Mediterranea ?

R. Il tema del rapporto Nord/Sud è la questione storica dell’Europa. Tuttavia da quando il Regno Unito, a seguito della Brexit è uscito di scena, vi è stato uno spostamento a Sud del baricentro dell’attenzione europea. Ora molto dipenderà dal lavoro dei commissari mediterranei che dovranno tenere conto del differente approccio tra Nord e Sud. Si pensi alla dieta mediterranea, quando parliamo di vino i Paesi nordici intendono la lotta all’alcolismo in modo rigido e quasi dogmatico, per i Paesi del Sud si tratta invece di lotta all’abuso. Il compromesso sta nel rispetto della ricchezza in termini di biodiversità della tradizione dell’Europa.

D. C’è un problema di autosufficienza alimentare per l’Europa?

R. L’Europa è la più grande potenza agricola mondiale, è l’area del mondo che esporta di più, oltre 200 miliardi di euro. Però vi sono criticità su singole filiere, a cominciare dalla soia e dai suoi derivati che sono alla base dell’alimentazione zootecnica. Qui dipendiamo per oltre l’80% dall’import, soprattutto dall’America (del Nord e latina). Ciò rende urgente dotarci di un robusto progetto di implementazione di queste derrate strategiche che qualora dovessero venire meno, metterebbero a grave rischio filiere chiave come quella del latte e della carne.

D. In che misura si dovrebbe incentivare l’export agricolo europeo verso i Paesi extra Ue?

R. Con un maggiore impegno. Il programma “promozione” che metteva a disposizione poco più di 200 milioni di euro l’anno per tutti gli Stati membri per promuovere i prodotti alimentari europei è stato ridotto di oltre il 50%. Ci sarà un ripensamento?

D. Come difendere il made in Italy alimentare?

R. Nella scorsa legislatura europea abbiamo approvato il nuovo regolamento sulle indicazioni geografiche che ha rafforzato il sistema delle tutele sia sul mercato che sui domini Internet andando a colpire le fake news e i prodotti copiati. La strada è quella di un rafforzamento delle tutele, in particolare evitare l’import di prodotti che non rispettano le stesse regole previste per i nostri agricoltori.

D. C’è chi sostiene che nel mondo agricolo ci sono lobby che ne frenano lo sviluppo.

R. Non ci sono lobby così forti da frenare lo sviluppo, piuttosto c’è una potentissima lobby ambientalistica che promuove con vigore pratiche green con un approccio calvinista. Si tratta di una competizione assurda che non giova a nessuno.

D. In Italia la politica sembra sottovalutare i problemi agricoli.

R. La politica tende a minimizzare il valore dell’agricoltura, sostenendo che rappresenta solo il 2% dell’economia. È sbagliato. L’agricoltura innesca una catena agroalimentare che parte dai mezzi tecnici e arriva fino agli scaffali della grande distribuzione e quindi il prodotto agroalimentare incide in realtà per il 18-20% sul Pil. Inoltre si tratta del primo settore nell’ export, nel 2024 ai arriverà a circa 70 miliardi di euro. Non c’è altro settore che registri queste performance. Quindi la politica dovrebbe svegliarsi.

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