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Cessione del quinto: illegittime le trattenute a carico del lavoratore per i costi amministrativi

Il datore di lavoro non può porre a carico del lavoratore i costi di gestione amministrativi funzionali alla cessione del quinto dello stipendio, a meno che non ne provi l’insostenibilità in rapporto alla propria organizzazione aziendale (Cassazione – sentenza 07 agosto 2024 n. 22362, sez. lav.)

Il caso

La Corte d’appello di Milano, rigettando l’appello proposto da una società datrice di lavoro, confermava l’illegittimità delle trattenute dalla stessa operate sullo stipendio di alcuni dipendenti, a titolo di costi di gestione amministrativi funzionali alla cessione del quinto del loro stipendio.
La Corte, in particolare, riteneva tale attività amministrativa alla stregua di ordinaria operazione di gestione del rapporto, relativa a un diritto potestativo dei lavoratori, dovendo il datore di lavoro dotarsi di un ufficio amministrativo idoneo alla gestione del personale e farsi carico di ogni operazione allo scopo necessaria (quali, in particolare: gestione delle ferie, delle malattie, degli infortuni, dei permessi, delle anticipazioni di T.f.r.); nè la società aveva provato la maggiore gravosità delle prestazioni rese dagli impiegati addetti, rispetto alla propria organizzazione aziendale, a giustificazione del rimborso di costi aggiuntivi intollerabili o sproporzionati.
Avverso tale sentenza la società ha proposto ricorso per cassazione, lamentando che la Corte territoriale avesse trascurato lo sdoppiamento degli atti di adempimento di un’obbligazione debitoria sorta unitaria, quale la corresponsione al lavoratore della retribuzione mensile, cui si erano aggiunti quelli derivanti dalla cessione parziale dell’obbligazione, comportante una maggiore gravosità di costi, non rientranti nelle normali operazioni connesse al rapporto di lavoro, pertanto non di competenza esclusiva datoriale, in quanto dipendenti da una libera scelta del lavoratore per esigenze personali.

La decisione della Cassazione

La Suprema Corte ha ritenuto infondate le doglianze della società, evidenziando, in analogia a quanto statuito in ipotesi di “trattenute sindacali”, che il datore di lavoro non può pretendere il rimborso dei costi del servizio aggiuntivo, a meno che non ne provi l’insostenibilità in rapporto alla propria organizzazione aziendale.
Da tanto discendere la necessità di valutare, nel caso concreto, la gravosità dell’onere datoriale, da commisurare alle dimensioni dell’impresa, che esige la dotazione, per un elevato numero di dipendenti, di una struttura amministrativa corrispondente alla sua dimensione.
Ebbene, nel caso sottoposto ad esame, a fronte della necessità provare la maggior gravosità delle prestazioni comportate dal servizio di contabilizzazione e di gestione amministrativa, funzionale alla cessione del quinto dello stipendio degli impiegati rispetto alla propria organizzazione aziendale, tale da determinare costi ingiusti, intollerabili o sproporzionati, meritevoli quindi di essere ristorati, la società ricorrente si era, tuttavia, limitata a reiterare la dettagliata elencazione delle attività, dei tempi di evasione da parte del personale in esse impiegato e dei relativi costi.
In conclusione il Collegio ha ricordato che la cessione del quinto costituisce strumento di finanziamento del lavoratore per accedere al mercato dei beni e dei servizi, cosi consentendogli, mediante la sottoscrizione di contratti di finanziamento rateale, la soddisfazione di esigenze anche diverse. Esse non sono assolutamente estranee al rapporto di lavoro o in relazione soltanto occasionale con esso quale mera fonte di provvista economica, ma sono radicate in esso, benché non siano strettamente funzionali alla modulazione del rapporto di lavoro, come accade, invece, per le operazioni di contabilizzazione di ferie, malattie, infortuni, permessi, anticipazioni di T.f.r., alla cui registrazione e gestione anche il datore di lavoro nutre un interesse diretto, convergente con quello del lavoratore.

di Chiara Ranaudo

Fonte normativa

 

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