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Le Just energy transition partnership (JETP) consentono ai paesi avanzati di finanziare la transizione energetica dei paesi emergenti in una logica win-win, ma c’è il rischio di doppi fini geopolitici e obiettivi economici poco trasparenti. L’articolo di Minh Ha-Duong su ENERGIA 2.24 fa il punto sulle iniziative in corso e sulle potenzialità delle JETP nella lotta al riscaldamento globale.

Osservando la crescita delle emissioni globali e per paesi, diversi analisti evidenziano quanto sarebbe utile traghettare verso il Sud del mondo gli investimenti green di Stati Uniti ed Europa, così da ottenere risultati molto più consistenti in termini di riduzione del riscaldamento globale e dei rischi di eventi naturali estremi (si vedano, ad esempio, Alberto Clò: Le emissioni continuano a crescere? Investire nel Sud del mondo; Enzo Di Giulio: Net zero: gli investimenti green ci sono, ma sbagliano target; Fabio Pistella: La realtà è altrove/2: investire dove c’è veramente bisogno).

Per i paesi beneficiari però non è semplice garantire la stabilità politica indispensabile per l’afflusso degli investimenti e proteggersi dal rischio di un eccessivo indebitamento. Come emerso dall’ultima COP, i paesi in via di sviluppo necessitano di 5,8-5,9 mila miliardi di dollari da qui al 2030, cui i 100 miliardi di dollari l’anno che i paesi ricchi hanno promesso già da tempo di mobilitare nei loro confronti paiono non essere una cifra adeguata allo scopo.

Come favorire gli investimenti nel Sud del mondo?

Una via percorribile è quella auspicata dai ricercatori di Resources for the Future su ENERGIA 2.24 di una revisione del sistema commerciale internazionale e di istituzioni multilaterali come Banca mondiale e Fondo monetario internazionale. Sullo stesso numero Michael Olabisi solleva invece la necessità di una finanza più climate-friendly e di un maggior coinvolgimento dei mercati privati come soluzione win-win per promuovere gli investimenti in Africa contro i cambiamenti climatici.

Un ulteriore strumento per riuscire ad accelerare la transizione energetica nei paesi emergenti è il programma Just energy transition partnership (JETP) introdotto alla COP26. Sempre su ENERGIA 2.24, Minh Ha-Duong (Cnrs, Cired e Università di Hanoi) propone una prima review del programma ad oggi in quattro paesi – Sudafrica, Indonesia, Vietnam e Senegal – per comprenderne il funzionamento, i rischi e le potenzialità.

L’articolo spiega:

  • cosa sono le JETP, quali vantaggi offrono rispetto ai classici strumenti di aiuto allo sviluppo, qual è la loro logica economica (par. 1);
  • come sono strutturate le JETP esistenti: Sudafrica, Indonesia, Vietnam, Senegal (par. 2);
  • quali sono gli elementi di rischio e di opportunità delle JETP (par. 3);
  • cosa ancora resta da fare per esportare il modello JETP (par. 4).

3 importanti novità delle JETP rispetto agli aiuti allo sviluppo tradizionali

Citando dati di fonte Ocse, l’autore riporta che “nel 2019 i flussi nord-sud ammontavano a soli 79,6 miliardi di dollari, ben lontani dal colossale fabbisogno stimato” che l’ultima COP indicava in “5,8-5,9 mila miliardi di dollari da qui al 2030”, mentre “l’obiettivo dei paesi ricchi di mobilitare 100 miliardi di dollari l’anno – target peraltro non raggiunto – sia una cifra inadeguata allo scopo”.

Le Just energy transition partnership potrebbero far arrivare ai beneficiari molte più risorse, come vedremo più avanti, grazie a “tre importanti novità rispetto agli aiuti allo sviluppo tradizionali:

(1) una dimensione multi-stakeholder senza precedenti, coinvolgendo il settore privato attraverso la Glasgow Financial Alliance for Net-Zero (GFANZ);
(2) un obiettivo specifico con esternalità globali – la transizione energetica – in luogo di un sostegno generale allo sviluppo socioeconomico;
(3) riguardano paesi più sviluppati rispetto a quelli destinatari degli aiuti allo sviluppo tradizionali, con importi peraltro molto più elevati”.

Una partnership disinteressata?

Prestiti agevolati, sovvenzioni, assistenza tecnica, approccio top-down, piattaforma-paese sono elementi in comune con la tradizionale cooperazione allo sviluppo, ma l’approccio su misura per singolo paese consente alle JETP di tenere conto dei diversi contesti nazionali; la definizione di precisi obiettivi rende lo strumento potenzialmente più efficace e “il coinvolgimento del settore privato e delle istituzioni finanziarie multilaterali può moltiplicare l’impatto degli importi che i governi possono fornire”.

Tuttavia, non è detto che l’iniziativa sia puramente disinteressata, o meglio, interessata a contrastare il cambiamento climatico. Come evidenzia Ha-Duong, dato che la “negli ultimi anni, la Cina ha investito massicciamente nelle infrastrutture energetiche dei paesi emergenti, sia nel carbone che nelle energie rinnovabili, le JETP sembrano essere un tentativo dei paesi Ocse di contrastare l’influenza cinese offrendo finanziamenti alternativi per progetti più sostenibili”.

L’articolo prosegue passando in rassegna le singole partnership, che vedono sempre una coalizione di paesi del G7 e loro alleati fornire sostegno finanziario e tecnico al paese beneficiario.

Le JETP di Sudafrica e dell’Indonesia

Il Sudafrica (par. 2.1), con l’80% di elettricità prodotta dal carbone, è tra i maggiori emettitori al mondo in termini assoluti ed è il paese beneficiario della prima JETP, che dal 2021 prevede il rilascio di “8,5 miliardi di dollari in un periodo di 3-5 anni per accelerare la sua transizione energetica e facilitare il phase-out del carbone”, con “l’obiettivo di produrre il 66% dell’elettricità da fonti rinnovabili entro il 2030”. Ad oggi, “i finanziamenti privati stentano però ad arrivare (…). Secondo le Ong, senza trasparenza e coinvolgimento della società civile, siamo molto lontani dalla «giusta transizione»”.

L’Indonesia (par. 2.2) “affronta una crescente domanda di elettricità alimentata dalla forte crescita demografica ed economica. Per soddisfarla negli ultimi anni ha fatto grande affidamento sul carbone (60% del mix elettrico), di cui è il primo esportatore al mondo (…). La JETP con l’Indonesia è stata annunciata al G20 di Bali a novembre 2022 (…). L’obiettivo è raccogliere 20 miliardi di dollari di finanziamenti” per raggiungere una serie di target specifici tra cui produrre “il 34% di energia rinnovabile entro il 2030”.

…e quelle di Vietnam e del Senegal

Il Vietnam (par. 2.3) “fa ancora molto affidamento sul carbone per la produzione di energia elettrica (per il 50% nel 2020 del mix elettrico). Il Paese è impegnato nella transizione energetica con l’obiettivo della neutralità carbonica entro il 2050. Le energie rinnovabili si stanno sviluppando rapidamente (Ha-Duong 2024)”. La JETP è stata annunciata a dicembre 2022, ma “il dibattito sulla politica energetica rimane teso: la produzione di elettricità non ha tenuto il passo con la crescita della domanda; nel 2022 e nel 2023 sono ricomparse le interruzioni di carico, soprattutto nel nord del Paese durante i mesi estivi, quando le dighe sono vuote”.

“Il caso del Senegal (par. 2.4) è diverso dai tre precedenti. Non è un grande consumatore di carbone, ma un paese in procinto di entrare nel club degli esportatori di gas naturale (…). La biomassa tradizionale rappresenta ancora oltre metà del consumo di energia primaria (…)”. Il partenariato è stato annunciato a giugno 2023 con l’obiettivo di “mobilitare 2,5 miliardi di euro nell’arco di 3-5 anni per aumentare la quota di energie rinnovabili al 40% della capacità elettrica installata entro il 2030”.

Potenziali effetti perversi e aree di miglioramento

La terza parte dell’articolo prende in esame i potenziali effetti perversi (par. 3.1) e le aree di miglioramento (par. 3.2). Tra i primi troviamo, ad esempio, il rischio di strumentalizzazione a fini geopolitici, la possibilità di condizioni nascoste, il rischio di perdita di fiducia (“il modo in cui le JETP vengono presentate dai media induce spesso a credere che si tratti di vere e proprie donazioni, mentre in realtà si tratta essenzialmente di promesse di offerte di prestiti), o ancora l’eccessivo indebitamento che potrebbero comportare.

Mentre tra le seconde vi sono la trasparenza, “necessaria per rassicurare il carattere di addizionalità dei fondi rispetto agli esistenti flussi degli aiuti ufficiali allo sviluppo”, o la necessità di rivedere il pacchetto finanziario, oltre a negoziare i termini di queste offerte, è infatti “necessario rivedere la ripartizione dei contributi tra settore pubblico e istituzioni private”, percorso che “deve essere parte di una revisione generale delle istituzioni finanziarie internazionali, in coordinamento con gli altri canali di finanziamento del clima”. Tema quest’ultimo che riprende le argomentazioni dei già citati articoli nello stesso numero di ENERGIA.

Nelle conclusioni (par. 4), l’autore evidenzia la necessità di mantenere alta l’attenzione sull’implementazione delle partnership che “potrebbero diventare un meccanismo centrale per la cooperazione climatica e aprire i mercati dei paesi emergenti alle imprese energetiche occidentali a condizione di rafforzare la proprietà e l’equità dei partenariati, di garantire l’addizionalità dei finanziamenti e di coordinare meglio le azioni dei donatori”.


Il post presenta l’articolo di Minh Ha-Duong Opportunità e rischi delle Just Energy Transition Partnership pubblicato su ENERGIA 2.24 (pp. 54-61)

Minh Ha-Duong, CNRS, CIRED, Università di Hanoi


Foto: Needpix

 

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