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La politica spesso accusa gli attori del Web di non pagare tasse a sufficienza, ma con riferimento all’e-commerce il carico fiscale sembra in realtà tra i più elevati del nostro Paese in relazione al valore aggiunto creato. Il report della Luiss Business School 

Tasse e Big Tech: in Italia se ne parla ciclicamente, anche a livello politico. In genere ogniqualvolta serve fare cassa e, di norma, lo si fa per dire che le grandi imprese hanno un carico fiscale irrisorio rispetto al fatturato. Ma è vero? Almeno per ciò che riguarda l’e-commerce pare proprio di no: le tasse pagate dai commercianti online risultano infatti particolarmente elevate.

LO STUDIO DELLA LUISS SUL CARICO FISCALE NEL COMMERCIO AL DETTAGLIO

A certificarlo è una ricerca della Luiss Business School realizzata con il supporto di Amazon che analizza il funzionamento del sistema fiscale italiano applicato alle imprese con l’obiettivo di capire se la pressione fiscale viene applicata in modo uniforme a tutti i settori.

L’indagine contiene un’analisi economica e finanziaria che mira a valutare l’incidenza del carico fiscale e ad esaminare gli indicatori principali del bilancio delle prime 3.000 aziende operanti in Italia, classificate per settore di appartenenza.

E-COMMERCE E TASSE: QUALCHE NUMERO

Secondo il report, che si focalizza sulle tasse pagate nel commercio al dettaglio più generalmente inteso – ovvero tradizionale ed e-commerce -, il comparto è interessato da livelli di imposizione fiscale tra i più elevati del nostro Paese in relazione al valore aggiunto creato.

Nel 2022 i livelli di tassazione in questo settore si sono attestati in media intorno al 20%, con un valore leggermente superiore per l’e-commerce (21%) rispetto al retail tradizionale (19%). Andando un poco indietro nel tempo si nota come, tra il 2016 e il 2022, il carico fiscale del settore del commercio ha insistito in particolar modo sul commercio online, aumentando.

LE TASSE AD HOC SULL’E-COMMERCE

Il report ricorda anche che nel corso degli anni le multinazionali e le grandi imprese operanti in Italia, in particolare quelle c.d. “digitali”, sono risultate destinatari di specifiche previsioni di legge, come la Global Minimum Tax e la Digital Services Tax. Non solo: nel corso degli anni gli operatori dell’e-commerce sono stati i destinatari di specifiche previsioni in materia di IVA ed è stato richiesto loro il soddisfacimento di svariati adempimenti, ulteriori rispetto a quelli a cui sono soggette le imprese operanti in altri settori, incluso il commercio al dettaglio tradizionale.

IL CONTRIBUTO DEL COMPARTO

Dai risultati emerge che, complessivamente, le 50 imprese con il maggiore carico fiscale in Italia hanno contribuito per 3,13 miliardi al bilancio pubblico italiano nel 2022 tra imposte dirette e oneri sociali. In media, ognuna di queste 50 aziende ha versato complessivamente circa 62 milioni di euro di tasse nel 2022.

Numeri che permettono agli analisti della Luiss di concludere che le imposte sul reddito si applicano in egual modo e misura a tutte le imprese che operano nel settore del commercio al dettaglio, sia che operino principalmente nell’e-commerce sia che operino principalmente “offline”. Amazon che, con un carico di imposte dirette di oltre 321 milioni di euro nel 2022, risulta tra le prime 50 aziende italiane in termini di contributo fiscale complessivo allo Stato. Alla luce dei risultati emersi dalla ricerca e in relazione ai ricavi, le imposte versate da Amazon sono in linea con i valori del settore del commercio al dettaglio.

Per tutti i motivi fin qui ricordati gli analisti che hanno redatto il report sono quindi giunti alla conclusione secondo la quale il carico tributario del settore del commercio al dettaglio, in particolare quello online, risulta tra i più alti fra i vari settori considerati.

 

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