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Francesco Tundo è Professore di Diritto Tributario presso l’Alma Mater Studiorum – Università di Bologna. Lo seguo da tempo nel suo impegno culturale e professionale volto a ristabilire un fisco che sia espressione di diritto piuttosto che il risultato di una stratificazione di manovre derivanti da urgenze di cassa, attraverso un approccio rigoroso e giuridicamente fondato.

È autore di numerosi studi e pubblicazioni, tra cui il recente libro “La riforma tributaria – Il metodo Matteotti” (Bologna University Press) che dimostrano il suo impegno per un sistema tributario giusto e razionale.

E’ per me un piacere avere occasione di intervistare il professor Tundo, riconoscendogli il suo grande sforzo culturale a favore di un diritto tributario organico, capace di garantire equità e giustizia sociale, al di là delle differenze politiche ed ideologiche.

Professore, nel suo ultimo libro “La riforma tributaria. Il metodo Matteotti”, lei esplora l’approccio di Giacomo Matteotti alla giustizia fiscale. Quali aspetti del pensiero di Matteotti ritiene più rilevanti per affrontare le sfide fiscali contemporanee?

A cento anni esatti dal rapimento e dal brutale assassinio, sappiamo molto dell’intransigenza di Giacomo Matteotti, delle sue numerose battaglie per la giustizia e la libertà.

Meno noto, tuttavia, è il grande impegno di Matteotti nella materia tributaria, il suo profondo convincimento riguardo alla funzione redistributiva del prelievo fiscale a fini di giustizia sociale, la sua aspirazione a un sistema impositivo unitario e coerente e, ancora di più, le sue proposte organiche di riforma in una materia che, anche ai suoi tempi, era terreno e strumento di iniziative tanto frammentarie quanto demagogiche.

Per Matteotti, la questione fiscale, a partire dalla funzione redistributiva e perequativa, si colloca al centro di un’iniziativa concreta che vuole segnare una netta discontinuità rispetto alla condizione dello Stato liberale, caratterizzata dal rinvio costante delle riforme tributarie.

Matteotti, rigoroso e profondo, mostrava una grande avversione per i programmi vaghi, la superficialità, l’imprecisione, gli opportunismi e il privilegio garantito sempre agli stessi. Diffidava dei populismi e della demagogia; a poco più di vent’anni scriveva già che è dannoso incitare all’odio contro le tasse: “Noi dobbiamo limitarci a dimostrare che le imposte sono mal distribuite, ma diffondere nel tempo stesso la persuasione che sono assolutamente necessarie”.

Giacomo Matteotti (al centro)

Matteotti affronta subito, quando è ancora giovanissimo, e ritorna metodicamente negli anni, i temi dell’equità, dell’uguaglianza, della perequazione, della parità di trattamento, attingendo dalle scienze sociali per immetterli nella vicenda fiscale. Questi principi, coltivati in una prospettiva non accademica o per mera speculazione intellettuale, sono piuttosto capisaldi di un programma politico pragmatico, elementi costitutivi del suo progetto riformatore, concretamente ancorato alle urgenze della società del suo tempo e, al contempo, profeticamente proiettato nel futuro.

Nei suoi discorsi parlamentari e negli scritti, Matteotti si cimenta in confronti spesso duri e non privi di verve polemica, tenendo testa ai più grandi studiosi e statisti del tempo, da Antonio Salandra a Francesco Saverio Nitti, da Filippo Meda a Giovanni Giolitti e Luigi Einaudi. Quest’ultimo, al di là dell’aspro confronto politico, nutre per Matteotti una grande considerazione.

Centrale nella proposta matteottiana è l’imposta generale progressiva sul reddito. Questione discussa da tempo, ma rispetto alla quale nessun politico, sino ad allora, aveva elaborato una proposta organica finalizzata a conseguire, grazie ad essa, l’obiettivo di giustizia sociale che Matteotti aveva in mente. Si tratta di un tema nevralgico che segna anche il nostro presente perché, se al tempo non esisteva ancora, oggi la progressività si è in gran parte smarrita.

Secondo Matteotti, per indurre i contribuenti a dichiarazioni più sincere, occorre ribassare, semplificare e unificare le aliquote di imposta, poiché oltre un certo limite il contribuente potrebbe percepire l’ostilità del prelievo e cercare di sottrarsi al dovere fiscale. È una visione modernissima, che lo spinge a cogliere nella semplificazione dei meccanismi impositivi una via per indurre il contribuente a pagare il dovuto.

Lei ha spesso sottolineato l’importanza di un diritto tributario organico e coerente. Ricordo in tal senso anche il suo precedente libro ”Le 99 piaghe del fisco, una democrazia decapitata”. Quali sono, secondo lei, le principali carenze del sistema fiscale italiano attuale e quali riforme sarebbero necessarie per migliorarlo?

Un diritto tributario organico, razionale e coerente è fondamentale per la stabilità e la credibilità del sistema fiscale di un Paese. Tale sistema deve essere stabile nel tempo per garantire certezza ai contribuenti e promuovere la fiducia nelle istituzioni.

Un diritto tributario ben strutturato evita l’arbitrarietà e riduce il rischio di interpretazioni distorte, contribuendo alla giustizia fiscale e all’efficienza economica. È solo attraverso un quadro normativo solido e prevedibile che si può assicurare il rispetto dei diritti dei contribuenti e la corretta allocazione delle risorse pubbliche.

Il nostro sistema fiscale, sfuggendo spesso al principio generale della progressività, oggi privilegia la rendita rispetto al lavoro non affrontando uno dei principali obiettivi che dovrebbe avere: la parità dei punti di partenza.

I regimi fiscali agevolativi sono una iattura e sono la manifestazione palese di una politica che ha abdicato al suo ruolo.

Perché le scelte di politica fiscale, come ci insegna Matteotti, devono essere al centro della politica e della vita democratica ed è fondamentale riavvicinare tutti a questi temi, nonostante la complessità degli stessi.

È necessario recuperare questo lascito, dimostrando che è possibile affrontare seriamente le questioni fiscali nel dibattito politico, evitando la demagogia e il populismo.

L’eredità di Matteotti ci insegna che la giustizia fiscale deve essere al centro dell’azione politica per garantire equità e coesione sociale.

Il professor Giovanni Marongiu, figura di spicco nel panorama del diritto tributario italiano, è considerato il padre dello Statuto del Contribuente. Personalmente, ricordo ancora la sua prima lezione all’università, quando ci introdusse ai principi costituzionali alla base dei rapporti tra Stato e cittadino, sottolineando che “la proprietà privata è usbergo delle libertà individuali”. Quella frase ha sempre risuonato in me, liberale, in maniera molto potente.

E con grande piacere lo ritrovai tra le firme de “La Voce”, io che all’epoca ero tra i ragazzini di “Controcorrente” che seguirono Montanelli dal Giornale alla nuova, sfortunata ma bellissima, avventura editoriale. Fu suo collega e maestro, mi piacerebbe raccogliere un suo ricordo della persona e del giurista. Le chiedo inoltre in che modo i principi dello Statuto del Contribuente possono essere recuperati e rafforzati per garantire una maggiore equità fiscale ed un rapporto cittadino/fisco più equilibrato?

Gianni Marongiu è stato un grande avvocato, politico, uomo di Stato e delle istituzioni, ma anzitutto un giurista, che ha sempre avuto a cuore le regole basilari dello Stato di diritto. Non è un caso che non appena gli è stato possibile, come sottosegretario alle finanze del Governo Prodi, ha tradotto in una carta di Principi generali le sue concezioni teoriche sui  diritti dei contribuenti.  È vero: può essere ritenuto il padre dello Statuto dei diritti del contribuente.  

E credo che non sarebbe stato particolarmente contento della sorte  che è stata riservata al “suo” Statuto,  da questi ultimi provvedimenti che impropriamente sono definiti  “riforma”,  che purtroppo fanno regredire la carta fondamentale dei contribuenti ad un insieme di disposizioni procedimentali che a tutto voler concedere avrebbero dovuto trovare altra collocazione  e la cui presenza all’interno dello statuto fa perdere a quest’ultimo quel nobile rango di disposizioni di principio che aveva originariamente.  

La commemorazione di Giacomo Matteotti alla Camera, il 30 maggio 2024

Ecco, posso dire che idealmente il mio lavoro sulla riforma tributaria di Matteotti è dedicato alla memoria di Gianni Marongiu, che ha saputo trarre dalla storia del diritto straordinari insegnamenti per la pratica del diritto tributario e delle politiche fiscali contemporanee.  E l’insegnamento più importante che viene  da quello che non a caso ho voluto definire il “metodo Matteotti” è una progettazione delle riforme tributarie che guardi agli obiettivi che si intendono perseguire, che li dichiari con coraggio e con chiarezza, che rifugga da opportunismi, populismi, demagogia e approssimazioni. La materia fiscale è una cosa seria e va affrontata con competenza e rigore.

Nell’associarmi a questa richiesta al legislatore di recuperare un metodo rigoroso e profondo, vorrei sottolineare, da liberale, che se le tasse sono necessarie, è altrettanto importante porre attenzione sulla qualità della spesa pubblica. Oggi, purtrop+po, a causa di bonus e incentivi indiscriminati, assistiamo a un vero e proprio assalto al gettito fiscale. Questo problema, che ha radici profonde, è comune a entrambi gli schieramenti politici.

matteotti

La riforma tributaria. Il metodo Matteotti – di Francesco Tundo – Bologna University Press, 2024 – 14 €

 

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