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Ci vorrebbe un nuovo Angelo Rossi per cogliere la vera natura dell’economia e dei suoi risvolti politici di questo Cantone. In realtà, basta l’autore de ‘L’economia a rimorchio’ per analizzare quanto sta accadendo oggi. Si legga, tra i vari passaggi, questa citazione dell’opera del 1975: “Siamo infatti convinti che un processo di sviluppo, all’origine del quale, come nel caso ticinese, stanno fenomeni speculativi, che si riflettono concretamente in aumenti enormi dei redditi dei terreni e degli immobili, debba avere in effetti contribuito a far aumentare l’ineguaglianza nella distribuzione del reddito, poiché i frutti dell’espansione economica vennero verosimilmente appropriati da un numero ridotto di persone, quelle che operano nel campo della speculazione”. Secondo Rossi una classe di intermediari, che egli identificò soprattutto negli avvocati (la “classe degli avvocati”, così osò chiamarla), rappresentava gli interessi dei capitalisti esterni al Cantone che dominavano l’economia ticinese.

A rafforzare questa lettura, andrebbe ricordato anche un contributo del 1959 di Basilio M. Biucchi, professore all’Università di Friburgo, citato dallo stesso Rossi. Non solo il Biucchi che denuncia la secolare tendenza a privilegiare la rendita fondiaria e immobiliare a scapito degli investimenti industriali e commerciali, ma anche, ci permettiamo di aggiungere, il Biucchi promotore dell’Ufficio ricerche economiche. Quel luogo di studi di economia regionale che tanto contribuì a far crescere una classe politica che nella contrapposizione assicurò al sistema dei partiti la rappresentanza della pluralità degli interessi sociali. Di questa esperienza non solo non c’è più traccia, ma laddove si vantano studi “oggettivi”, lo si fa solo per assecondare univocamente interessi corporativi.

Insomma: meglio scoprire vecchie verità che inventare nuove stupidaggini.

Il passato che non passa

Da questo passato che sembra non passare mai, alla rendita immobiliare andrebbero aggiunte due altre rendite, due altre modalità di accumulare ricchezze attraverso la speculazione. Parliamo della rendita fiscale, che si riferisce ai vantaggi economici ottenuti attraverso politiche fiscali favorevoli, spesso destinate ai ricchi contribuenti e alle grandi imprese. E parliamo della rendita finanziaria, spesso conseguente a quella fiscale, riconducibile al reddito generato attraverso investimenti in strumenti finanziari come azioni, obbligazioni, derivati e magari qualche criptovaluta.

L’economia delle tre rendite, che è alla base del capitalismo contemporaneo, ha ormai una sua dimensione pervasiva e trasversale (Luciano Gallino parlava di Finanzcapitalismo), al punto che gli stessi pilastri del nostro sistema sociale ne sono fortemente condizionati. Si pensi ai fondi pensione o alle riserve dell’Avs e delle casse malati investiti sui mercati finanziari. Quasi che i diritti sociali siano ormai titolarizzati!

C’è sempre qualcuno più a sud

È indubbio che una società che privilegia la rendita rispetto al lavoro produttivo sta erodendo le fondamenta del proprio futuro economico. A maggior ragione in un Paese fragile come il nostro in cui il settore industriale dipende fortemente dalle esportazioni. E a nulla serve evocare un presunto sgocciolamento della ricchezza verso il basso, quando la stessa economia reale è attraversata dalla logica della rendita. Si pensi al fenomeno del riacquisto delle azioni da parte delle imprese per aumentare i dividendi da distribuire agli azionisti. È pure indubbio che la concentrazione della ricchezza attraverso la rendita crea una disuguaglianza che è dannosa per la coesione sociale e la crescita economica sostenibile. Prevale semmai il rancore sociale che invece di spezzare questa logica della rendita e chi la incarna, si scaglia contro i sempre nuovi ultimi. C’è sempre qualcuno più a sud di te.

Nella società delle tre rendite, va da sé, uno Stato sociale con vocazione redistributiva sarebbe oltremodo necessario. Fatto è che, attorno alla rendita, esiste una classe di portatori di interessi che trova legittimità nel potere politico, proprio perché la politica è in evidente crisi di rappresentanza. Il problema, allora, è come costruire un punto di vista collettivo che si incarni in rivendicazioni materiali tali da scardinare ciò che è all’origine della logica della rendita e della sudditanza dei partiti ad essa.

 

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